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      Caduti erano in Napoli i segni del governo muratiano, già disperse le falangi francesi nei campi per sempre gloriosi di Waterloo e sotto le mura del conquistato Parigi; solo Begani, per avere più onorati i patti della resa, seguitava a tempestare dallo scoglio di Gaeta, e teneva rizzata in aria una napoleonica bandiera. Italiana mente ebbe Begani, gran forza d'animo mostrò costui; degno certamente che il suo nome trapassi lodato alla lontana posterità, e degno che a lui rimanessero eternamente obbligati, il re Ferdinando dei conservati attrezzi da guerra, ed i Napolitani del conservato onore in tanto precipizio d'uomini e di cose. Ma i tempi erano scorretti; fantastica e superba la volontà di chi comandava: il nobile esempio non piacque; toccò a Begani in premio della illibata fama la disgrazia del re, l'esiglio dalla sua terra, la stima e l'ammirazione dei buoni.
      Questo fine sortirono gli apparati di guerra e la romorosa alzata d'insegne del napolitano re contra l'austriaca mole, opera certamente molto ardita e da lui anche incominciata con grande risolutezza, ma più per cause di ambizione, che per interessi di regno. L'Austria non doveva Murat assaltare in Italia; poichè, quantunque apparisse per molti indizii che non lo avrebbe ella lasciato riposare gran tempo nel novello suo regno, non doveva medesimamente darle appicco agli sdegni con un procedere intemperante, ed aspettare che Vienna gli muovesse contro con le insidie e coi cannoni. Allora avrebbe certamente prevalso la costanza tedesca; ma l'opprimere il debole con la forza prepotente non costituisce la ragione, od il mondo consapevole della innocenza del re, sarebbe stato ugualmente della prudenza sua e dell'onorato suo cadere dal trono.


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-Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834
Parte prima 1814-22
di Giuseppe Martini
Tipogr. Elvetica Torino
1850-1852 pagine 496

   





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