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      Tra per questo, e tra perchè nei casi dubbii giova agl'imbelli il temporeggiare e lo starsi, il governo di Napoli non simulava paura per non mettere in sentore gli avversari, nè faceva pompa di ardire, perchè il caso non era veramente da trasandarsi. Se ne vivevano per tanto i borboniani con spensieratezza; e non che mandassero avvisi alle autorità dei posti marittimi perchè vi stessero all'erta e facessero diligentemente guardare le coste, aspettavano che qualche suono di lontano rivelasse loro la certezza di quello che solamente sospettavano. Ad un tratto il telegrafo annunzia, essere Giovacchino Murat comparso al Pizzo con pochi suoi seguaci, con discorsi ed atti sediziosi eccitando le popolazioni alla ribellione contra il legittimo re. Insolita fu la trepidazione e lo sbigottimento che sentirono per quelle nuove la corte e i ministri, non bene ancora prevedendo dove la mossa andrebbe a finire; ma non passò molto tempo che i terrori si dissiparono, e successero più liete speranze.
      Allorchè Murat giunse al Pizzo era il dì 8 di ottobre, giorno festivo. Vedute sopra la piazza poche milizie che si esercitavano negli armeggiamenti, venne loro davanti, comandando, quasi fosse già re, si unissero a lui. La medesima intimazione fece ad alcuni cittadini che accorrevano, tratti piuttosto dalla novità del caso che dalla volontà di partecipare ad un moto di sì grande importanza; ma nissuno si risolveva ad esporre sè stesso per una causa ancor piena di tanti pericoli. Murat, siccome quello che per la sua immaginativa ardentissima sempre si prometteva grandi cose, si era fin da principio compiaciuto nel pensiero che le milizie del Pizzo si sarebbero immantinente accostate a favoreggiarlo, dando così col consenso loro ottimo avviamento all'impresa.


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-Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834
Parte prima 1814-22
di Giuseppe Martini
Tipogr. Elvetica Torino
1850-1852 pagine 496

   





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