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      Ma, a udire ora quegli arditi e sentenziosi declamatori parigini, non solo i ladronecci commessi in Italia dai repubblicani di Francia, e le spoliazioni dei nostri musei, delle nostre chiese, gallerie e biblioteche dovevano riputarsi frutto delle loro vittorie passate, acquisti fatti a prezzo del sangue e del valore francese, ma erano di più assai tenue compenso alle durate fatiche per procacciare (e in buona fede ancora il credevano) la libertà e la civiltà agl'Italiani. Affermavano parimente alcuni fra i medesimi reggitori del governo parigino, che molti di questi capi tanto preziosi che ora si volevano dagli antichi possessori loro ripigliare senza risguardo alcuno ai diritti della conquista, o erano stati dai principi italiani ceduti alla Francia per riscattarsi dai mali inseparabili dalle invasioni nemiche, o dati in cambio d'imposte pattuite dopo una guerra da essi provocata, ed infelicemente all'armi loro riuscita. Tacevano, che tali provocazioni il più delle volte erano la conseguenza di fraudolenti maneggi dei Francesi o dei fautori loro; che spesso seguivano l'illuvione francese e la dimanda delle esorbitanti gravezze, prima ancora che si udisse una formale intimazione o un semplice suono di guerra; che sempre nei bandi scritti e nei discorsi pronunziati vantavano quei zelanti repubblicani del 1796 amore di nazioni, desiderio di giovare al bene dei popoli, più che con l'apparato minaccioso dell'armi con la forza irresistibile delle opinioni, e che anche quando già avevano con gli eserciti loro inondata l'Italia, pomposamente bandivano: Non fare la generosa Francia la guerra alle forestiere genti per nuocere alla nazionalità loro o accrescere i territorii suoi; lei promuovere alacremente la libertà e independenza dei popoli fratelli ed amici; farebbe della felicità propria la felicità del mondo intiero; ristorerebbe i mali che il passo o lo stanziamento de' suoi soldati ne' paesi altrui arrecar potesse alle quiete popolazioni; ai popoli dell'Italia soprattutto essere amica la guerreggiante Francia, e venire i suoi eserciti ad infrangere le loro catene; porterebbero i soldati rispetto alla religione, alle costumanze, alle proprietà pubbliche e private; non avrebbero altra mira nel portare la guerra sulle italiche terre, che quella di cacciarne per sempre i tiranni che le infestano; nè altro premio aspetterebbero dalle riportate vittorie, che quello di restituire la magna sua gloria al Campidoglio, e riporvi in onore le statue degli eroi che tanto ne' prischi tempi lo illustrarono.


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-Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834
Parte prima 1814-22
di Giuseppe Martini
Tipogr. Elvetica Torino
1850-1852 pagine 496

   





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