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      Uno sfrenato invidioso di che non è capace? In tante e sí diverse azioni e resistenze fatte nel cerebro, alla rappresentazione di questa o quella idea, in tanti e sí contrari moti, che suppongono grande azione, credete voi, che non debba esservi dello strofinio e dello sviluppo della materia elettrica? Pensate! Basta stare in osservazione, e mirare i sguardi, che lancia un invidioso, a stracciasacco, come si suol dire. Ne abbiamo una dipintura presso Omero: on d'ar üpòdra idòn prosèfe («Vibrò a traverso un fiero sguardo, e disse»). Ed a meraviglia esprime il bollore, l'effervescenza, in una parola l'elettricità sviluppata nell'ira, ed effluente dagli occhi con quel verso estedè oì pürì lampètonti èikten che traduce Poliziano: «Instar erant ardentis lumina flammae»; e Virgilio: «Stant lumina flamma». Dante, descrivendo Caronte montato in furore, per avere a traghettare un vivo, cosí dice: «Quinci fur chete le lanose gote / Al nocchier della livida palude / Che intorno agli occhi avea di fiamme rote». E poco dopo chiama i di lui occhi Occhi di bragia. Ovidio stesso cosí ci descrive gli occhi di un irato: «Ora tument ira: nigrescunt sanguine venae: / Lumina Gorgoneo saevius angue micant». Osservate adesso l'invidioso preso dal parosismo. Ed ha mobilissimi gli occhi, non sa fissarli un momento; si morde il labbro, batte le mani, calpesta la terra, ecc. Pensate quale strofinamento dovrà esservi nel cerebro in tanti moti opposti ed evidenti. Vi dovrà essere senza dubbio in una avanzata maniera.


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Capricci sulla jettatura
di Gian Leonardo Marugi
pagine 79

   





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