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      S'anc'opera nessuna il nome assista.
     
      Ben so che senza offesa e senza frodeAssai ti fu mirare i gigli e l'ambra
      Di queste carni intemerate e sode:
     
      Chè gaditana danzatrice a zambraL'una somiglia, e i grandi occhi ed il crine
      Non vide neri più l'arabo Alhambra;
     
      Candida l'altra il piè snello e la fineMano su gli orli appena in roseo tinge,
      Tutto il corpo una neve, e al viso Frine;
     
      Questa s'aderge come palma, e cingeDi monil, non di cinto, il fianco breve;
      Quella vince al posar lionessa e sfinge.
     
      Ma la divina non dirò, che beveGli accesi del tuo genio avidi sguardi,
      E nova di tua man vita riceve.
     
      Chè la fiamma superna onde tutt'ardiConvien s'appunti e s'avviluppi in quella
      La qual men lenta i vanni tuoi ritardi.
     
      Ciascuna, è vero, può sembrarti bella:
      Però sola colei che Amore eleggeSalir può teco a ritrovarsi stella.
     
      Ond'io non crederò che angusta leggeDettando a te medesmo, un idol vano
      Ti componessi d'accozzate schegge:
     
      Ben credo che, sì come il Monsulmano,
      Poi che bagnato s'abbia in tepid'acque,
      De l'algide si piace, e core e mano
     
      Ritempra ad onorar l'Asia ove nacque,
      Sì di beltade in quel diverso esamePascer gli occhi e la mente assai ti piacque,
     
      E più forte salir dal gran certame.
      O magnanima età che il buon lavacroNon contendevi a glorïose brame,
     
      E t'era il Bello insieme onesto e sacro!
      Non fallace rossor, non rea pauraFaceva nel desìo rodersi macro,
     
      Nè il difetto traea de la pasturaA metter ne l'altrui soppiatto il dente
      Chi del parer si scherma, e al far spergiura.
     
      Era a quei di bellezza alto e possente


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L'odissea della donna
di Tullo Massarani
Editore Forzani Roma
1907 pagine 356

   





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