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      Era sulla fine di autunno, una di quelle giornate nuvolose, in cui si cominciano a sentire i primi buffi del vento jemale. Dagli alberi ingialliti si staccava ogni tratto qualche foglia che veniva a rotolare dinanzi a' suoi passi: camminava spedita e deliberata nella presa risoluzione, ma i suoi pensieri involontariamente armonizzavano colla malinconia della natura. Quando fu sull'alto della collina, rivolse un ultimo sguardo al paese che lasciava. Le gioie dell'infanzia, le sollecitudini e l'affetto della famiglia, le memorie dell'amore stavano là.... A guisa di tappeto vagamente intarsiato le si spiegava dinanzi un ampio tratto di pianura, il basso Friuli fino al mare; ma i suoi occhi non vedevano che un punto, il villaggio nativo, e lì dappresso, quasi impercettibile, la bianca chiesetta del cimitero...»
      Nannetta mia peraltro non aveva sul cuore, come la Tina della Percoto e la Carlotta del Dall'Ongaro, il rammarico, quasi il rimorso, d'avere negletto un leale cuore di compaesano. Chi poi a diciott'anni non ricupera presto l'allegria? «Chi - lo ridirò col Dall'Ongaro - chi non ha provato il piacere di trovarsi fuori dai selvaggi greppi del Carso, e di vedere svolgersi innanzi a sè i campi coltivati e le irrigate praterie del Friuli?» Nannetta sapeva bene che la vita a Venezia le sarebbe dura, ma in petto le ragionava il coraggio, le danzava la speranza, le fioriva l'amore. Ella non andava, dopo tutto, a servire alcun padrone. «In una terra - sèguito a lasciar parlare il mio vecchio amico - in una terra dove il nome di cameriera suona sulla bocca del popolo come un titolo vergognoso, non è meraviglia che il servire sembri ancora la più dura condizione di tutte.


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L'odissea della donna
di Tullo Massarani
Editore Forzani Roma
1907 pagine 356

   





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