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      Vie maggiori cose macchinava il primo Regno italico: assicurare, non solo contro le rotte del Po, ma sì anche contro i rigurgiti delle acque interne, i suoi territorii; e a noi, attraverso il duro internodio della rioccupazione austriaca dal Quindici al Quarantotto, trasmetteva quasi debito d'onore il mandato di continuare la magnifica intrapresa.
      Avemmo, in quel duro internodio, giorni di prove magnanime se anche non coronate dalla vittoria; e quei quattrocento uomini, che l'8 giugno del Quarantotto, con soli otto cannoni e duecentosettantacinque cavalli, acclamando al loro vecchio generale Pepe e deludendo tutte le mene borboniche, chiesero primi, a gran voce, di passar Po, valsero per l'onor nostro quanto un esercito vittorioso. Ma suffragati, diciott'anni dopo, da incomparabili fortune, insediati nel pacifico dominio di casa nostra, abbiamo noi tenuto degnamente l'ufficio di farla prospera e lieta? Abbiamo davvero proseguita l'opera solerte, vigilante, costante, non paurosa di ostacoli, non angusta di concetti, non parsimoniosa di sagrifizii, che ci fu commessa dai nostri maggiori? Io non voglio dire che tutti si debbano a imprevidenza e ad incuria gl'intervenuti disastri; non voglio porre sulla coscienza a Parlamenti ed a Governi quella spaventosa progressione geometrica con cui l'una all'altra sempre più frequenti le inondazioni seguirono: non voglio affligger voi, gentili Donne, col rinfrescare quel tetro quadro che, al dimani di una infelice navigazione sopra 40,000 ettari di ubertosissimi campi sommersi, non potei risparmiare al Senato: i frutti di diuturne fatiche tutti in un punto scomparsi, ingojati tutti ad un punto i ricolti; un sistema meditato e laboriosissimo di canali, di colatori, di manufatti, di costruzioni, di macchine agrarie sconvolto; una popolazione di migliaja e migliaja d'agricoltori gittata nello squallore e nella miseria; recisi i nervi del risparmio e del credito; la grande proprietà incagliata, la piccola immiserita, il fittajuolo sceso a colono, il colono a bracciante, tutti invasi dalla febbre disperata dell'emigrazione.


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L'odissea della donna
di Tullo Massarani
Editore Forzani Roma
1907 pagine 356

   





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