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      E a riuscirvi bisognava interrogare la vita latente, addormentata, inconscia del popolo, posar la mano sul core pressochè agghiacciato della Nazione e spiarne i rari interrotti palpiti e desumerne riverenti intento e norme agli ingegni. L'ispirazione individuale doveva sorgere con indole propria dalle aspirazioni della vita collettiva italiana, come belli di tinte varie e d'infiorescenza propria sorgono, da un suolo comune a tutti, i fiori, poesia della terra. Ma la vita collettiva d'Italia era incerta, indefinita, senza centro, senza unità d'ideale, senza manifestazione regolare, ordinata. L'arte poteva dunque prorompere a gesti isolati, vulcanici: non rivelarsi progressiva, continua, come la vita vegetale del Nuovo Mondo, dove gli alberi intrecciando ramo a ramo formano l'unità gigantesca della foresta. Senza Patria e Libertà noi potevamo avere forse profeti d'Arte, non Arte. Meglio era dunque consecrare la vita intorno al problema: avremo noi Patria? e tentare direttamente la questione politica. L'Arte Italiana fiorirebbe, se per noi si riuscisse, sulle nostre tombe.
      Questi pensieri - che l'ingegno sommo e l'amor del paese devono avere di certo suggerito a Manzoni e che tralucono divinamente nei Cori delle sue tragedie ed altrove, raumiliati poi dalla soverchia mitezza dell'indole e dalla fatale rassegnazione insegnatagli dal Cattolicismo - erano allora pensieri di pochi. Predominava a tutto quel subuglio di letterati non cittadini la falsa dottrina francese dell'arte per l'arte.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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