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      I cristiani dei primi secoli versavano sovente a' piedi del sacerdote, a pro dei loro fratelli poveri, tutta quanta la loro ricchezza, non serbandosi che il puro necessario alla vita. Tra noi, è impresa utopistica, gigantesca, quella di trovare tra ventidue milioni d'uomini, che cicalano di libertà, un milione che dia un franco per l'emancipazione del Veneto. I primi avevano fede: noi non abbiamo se non opinioni.
      Ebbi, non molto dopo, l'iniziazione al secondo grado e facoltà d'affigliare. Conobbi due o tre Carbonari, fra gli altri un Passano, antico Console di Francia in Ancona, che dicevano alto dignitario dell'Ordine; vecchio, pieno di vita, ma che si pasceva più di piccolo raggiro e d'astuzie che non d'opere tendenti virilmente e logicamente allo scopo. Rimasi nondimeno sempre in una assoluta ignoranza del loro programma o del che facessero; e cominciai a sospettare che nulla facessero. L'Italia non appariva nei loro discorsi che come terra diseredata d'ogni potenza per fare: appendice più che secondaria di altrui. Si professavano cosmopoliti: bel nome se vale libertà per tutti; nondimeno, a ogni leva è necessario, per agire, un punto d'appoggio e quel punto d'appoggio ch'io intravvedeva fin d'allora in Italia, era per essi visibilmente in Parigi. Fervevano allora in Francia le liti d'opposizione, nella Camera e fuori, alla Monarchia di Carlo X, ed essi non sognavano e non parlavano che di Guizot, di Barthe, di Lafayette e dell'Alta Vendita Parigina. Io pensava che avevamo dato noi Italiani l'Istituzione dei Carbonari alla Francia.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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