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      Governava allora in Genova un Venanson, lo stesso che, richiesto da mio padre delle mie colpe, rispondeva non esser tempo di dirle; ma ch'io era a ogni modo dotato di certo ingegno e tenero di passeggiate solitarie notturne, e muto generalmente sui miei pensieri; e al Governo non andavano a sangue i giovani d'ingegno dei quali non si sapeva che cosa pensassero.
      Una notte, destato subitamente, mi vidi innanzi due carabinieri, i quali m'ingiunsero d'alzarmi e di seguirli. Pensai si trattasse d'un interrogatorio; ma l'avvertirmi d'un d'essi ch'io non lasciassi il mantello, mi fece accorto ch'io doveva escire dalla caserma. Chiesi dove s'andasse: risposero non poterlo dire. Pensai a mia madre che, udendomi il dì dopo sparito, avrebbe ideato il peggio, e dichiarai risolutamente ch'io non sarei partito se non trascinato, quando non mi venisse concesso di scrivere un biglietto alla famiglia. Dopo lunghi dubbî e consigli col loro ufficiale, concessero. Scrissi poche linee a mia madre dicendole ch'io partiva, ma che non temesse di male alcuno, e seguii i miei nuovi padroni. Trovai all'uscio una portantina nella quale mi chiusero. Quando si fermò, udii a un tempo uno scalpito di cavalli, indizio di partenza per luogo lontano e la voce inaspettata di mio padre che mi confortava ad avere coraggio.
      Non so come egli fosse stato informato della partenza, dell'ora e del luogo. Ma ricordo ancora con fremito i modi brutali dei carabinieri che volevano allontanarlo, il loro sospingermi dalla portantina nella vettura, sì ch'io potei appena stringergli la mano, e il loro avventarsi furente, per riconoscere un giovane che stava fumando a poca distanza e m'avea salutato del capo.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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