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      No; non una. Diresti che lo monarchie esiliandoci dalla Patria ci esiliassero dall'Umanità.
      Dall'Umanità? Sì - e Dio sa che il dolore da me provato mentr'io scrivo questo parole non deriva da considerazioni individuali - non ho mai sentita così profondamente com'oggi la verità di quel detto di Lamennais: Dio versi la pace sul povero esule, perch'egli è, dovunque, solo.
     
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      Io scrivo senz'odio e senza amarezza. - Il primo mi fu sempre ignoto. Ma uno sdegno profondo mi solca l'anima, quand'io penso al come si giochi quaggiù sul tappeto d'una Cancelleria la libertà, la dignità, l'onore d'un popolo - quand'io vedo i delegati d'una repubblica ordinare, a benefizio delle polizie monarchiche, una tratta di bianchi - quando odo uomini che sono padri, fratelli, sposi, pronunziare spensieratamente, presso alla culla dei loro bambini, il nome d'America per altri uomini che hanno perduto ogni cosa e ai quali unico conforto è forse di poter guardare all'Alpi o al Reno, pensando che la loro patria è al di là. Son essi conscii di quel che fanno? Ricordano che noi pure, proscritti, abbiamo madri, vecchi padri e sorelle? Sanno le conseguenze che quella loro spensierata parola può trascinare per essi e per noi?
      Un giorno, nel 1834, un uomo mi venne innanzi richiedendomi d'ajuto fraterno. Era un proscritto, proscritto da vent'anni, e aveva bevuto a lenti sorsi tutto quanto il calice amaro che l'esilio versa sui poveri e soli. L'avevano sospinto da Berna a Ginevra, da Ginevra in Francia.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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