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      I fucilati d'Alessandria, di Genova, di Chambery, mi sorsero innanzi come fantasmi di delitto e rimorso pur troppo sterile. Io non potea farli rivivere. Quante madri aveva già pianto per me! Quante piangerebbero ancora s'io m'ostinassi nel tentativo di risuscitare a forti fatti, al bisogno d'una Patria comune, la gioventù dell'Italia? E se questa Patria non fosse che una illusione? Se l'Italia esaurita da due Epoche di civiltà, fosse oggimai condannata dalla Provvidenza a giacere senza nome e missione propria aggiogata a nazioni più giovani e rigogliose di vita? D'onde traeva io il diritto di decidere sull'avvenire e trascinare centinaja, migliaja d'uomini al sagrifizio di sè e d'ogni cosa più cara?
      Non m'allungherò gran fatto ad anatomizzare le conseguenze di questi dubbi su me: dirò soltanto ch'io patii tanto da toccare i confini della follìa. Io balzava la notte dai sonni e correva quasi deliro alla mia finestra chiamato, com'io credeva, dalla voce di Jacopo Ruffini. Talora, mi sentiva come sospinto da una forza arcana a visitare, tremante, la stanza vicina, nell'idea ch'io v'avrei trovato persona allora prigioniera o cento miglia lontana. Il menomo incidente, un suono, un accento, mi costringeva alle lagrime. La natura, coperta di neve com'era nei dintorni di Grenchen, mi pareva ravvolta in un lenzuolo di morte sotto il quale m'invitava a giacere. I volti della gente che mi toccava vedere mi sembravano atteggiarsi, mentre mi guardavano, a pietà, più spesso a rimprovero. Io sentiva disseccarsi entro me ogni sorgente di vita.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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