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      Tacerò dunque; e mi limiterò ad accennare rapidamente la serie dei fatti tanto da porne alcuni, negletti finora o fraintesi, in luce migliore che giovi alla storia del principio nazionale, unico fine del mio lavoro.
      Poi, a che pro? Perchè m'occuperei d'individui? Le loro colpe, i loro errori, le loro fiacchezze risalgono a cagioni morali e si ripetono oggi e si ripeteranno in altri negli anni futuri, finchè durano quelle cagioni, sole che importi distruggere. Le generazioni rappresentano, a seconda dalla loro educazione morale, idee o interessi: noi possiamo, quand'esse vivono governate dalle prime, antivederne gli atti e calcolarne logicamente, a pro dei nostri disegni, la capacità e la costanza; quand'esse traviano dietro ai secondi, mutabili per circostanze fuggevoli d'ora in ora, ogni logica è muta. La generazione vivente nel 1848 non aveva filosofia, nella sua generalità, se non quella degli interessi; interessi personali nei più guasti: interessi di vittoria, di partito, d'odio al nemico, nei migliori. La fede senza calcolo di frutto immediato nell'ideale e nell'avvenire, non era in essa. Noi avevamo sperato sostituirle in un subito l'entusiasmo pel bello e pel grande. E ci eravamo ingannati. La fede è dovere: il dovere esige una sorgente, una nozione superiore all'umanità, Dio. E Dio non era e non è pur troppo nella mente del secolo.
      L'Italia era ed è tuttavia - e se s'eccettuino i buoni istinti che incominciano, segnatamente nelle classi operaje delle città, a rivelarsi - appestata di materialismo: materialismo che dalla filosofia meramente analitica e negativa del secolo passato s'infiltrò nella vita pratica, nelle abitudini, nel modo di considerare le cose umane.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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