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      Ingegno facile, rapido, trasmutabile, fornito d'una erudizione copiosa ma di seconda mano e non derivata dalle sorgenti, capace d'eloquenza, ma di parole più che di cose, fervido d'imaginazione più che di core, non ambizioso nè cupido di potere o d'agi ma vano e irritabile e intollerante d'ogni opposizione, Gioberti soggiacque per impazienza di successo e per indole naturalmente obbiettiva agli impulsi esterni, agli avvenimenti che si sottentravano e v'accomodò, scendendo dalle serene-immutate regioni della filosofia, le sue facoltà. Non diresse, riflesse. E dacchè il periodo era, come io dissi, guasto d'immoralità, non cercò di vincerla, vi s'adattò. Ei fu, inconsciamente, con Balbo e Azeglio, tra i primi corruttori della giovine generazione: mentre Balbo insegnò la rassegnazione della scuola cattolica e seminò lo sconforto nelle forze collettive del paese - mentre Azeglio pose in core alle classi medie della nazione il materialismo veneratore servile dei fatti e i germi d'un militarismo pericoloso - Gioberti rivestì di sembianze filosofiche l'immorale dottrina dell'opportunità e mascherò da idea l'irriverenza alle idee. E fu primo - biasimo assai più grave - che introducesse nel campo della libertà l'arme atroce della calunnia politica e l'insana accusa di settatori dell'Austria contro repubblicani e dissenzienti dal concetto del regno del nord, dalle fusioni imposte, dalle guerre che rispettavano il Trentino e Trieste e da ogni idea che non fosse sua.
      I fatti del 1848 e del 1849 sono commento alle cose ch'io dico.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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