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      E il primo suo lampeggiare in Sicilia aveva convertito i principi agli ordini costituzionali e ottenuto in un subito più assai che non avevano ottenuto le tattiche adulatrici di tutto un anno: il secondo in Milano aveva sgominato un esercito creduto fin allora invincibile e affrancato quasi dal nemico straniero il suolo d'Italia. La vera forza era dunque visibilmente nel popolo. Bastava intenderlo: bastava dire al popolo: prosegui, l'impresa è tua - ai principi: alleati tutti, padroni nessuno - ai principi, al popolo, all'Europa: vogliamo essere uniti, liberi, forti: vinta la guerra dell'indipendenza, l'Assemblea nazionale deciderà in Roma degli ordini coi quali dovrà reggersi l'Italia - perchè l'impresa si compisse in guisa degna di noi. Un governo d'insurrezione e di guerra - e il nucleo di quel governo esisteva nella commissione delle Cinque giornate - che avesse affratellato in sè l'elemento lombardo col veneto e chiamato qualch'altro dalla Sicilia e d'altrove, avrebbe, col programma accennato, unificato fin d'allora l'Italia.
      Se non che i moderati dai quali l'insurrezione lombarda era stata fino all'ultimo giorno avversata come impossibile - che avevano, richiesti, spronati dai nostri, contribuito fra tutti d'una misera somma di settemila lire italiane alla lunga agitazione anteriore - e che avevano invariabilmente alternato fra i tentativi di conciliazione coll'Austria e gli inutili maneggi segreti colla monarchia piemontese - s'impossessarono del moto appena lo videro trionfante; gli uomini della commissione delle Cinque giornate abbandonarono, per disdegnosa noncuranza, il potere a un governo provvisorio che disprezzavano - e i giovani che avevano antiveduto, preparato, capitanato sulle barricate il moto del popolo, inesperti, soverchiamente modesti e paghi dei gloriosi fatti compiti, si ritrassero dall'arena quando importava tenerla.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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