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      Io errava al cader del sole, con Scipione Pistrucci e Gustavo Modena, ambi ora morti, per le vie di Roma quando appunto i Francesi movendo lentamente, colle bajonette in testa; fra un popolo cupo, irritato, intimavano lo sgombro delle contrade, fremente di sdegno e ribollente di pensieri di lotta. Parvemi che gli occupatori si fossero collocati in modo sì incauto da prestare opportunità a una serie di sorprese e m'affrettai a chiedere al generale Roselli e a' suoi dello stato maggiore se, dove un leva leva di popolo capitanato da me, che non aveva vincolo di patti con anima viva, avesse luogo, ajuterebbero, ed assentirono: ma era tardi: i capi-popolo erano in fuga e ogni tentativo fallì. Suggerii al Roselli di chiedere al generale Oudinot, sotto colore d'evitare collisioni probabili, la distribuzione del piccolo esercito romano in accantonamenti fuori della città: là, i nostri militi si sarebbero riavuti dall'esaurimento della lunga lotta: avremmo potuto riequipaggiarli: io mi sarei tenuto celato e prossimo ad essi; poi, forse, avremmo potuto cogliere un momento propizio per gittarci a sorpresa sul nemico di Roma. Ma quel disegno, sulle prime accettato, tornò pure inutile: la partenza in armi di Garibaldi insospettì l'Oudinot: fu intimato che l'artiglieria romana rimanesse in città: i nostri militi, convinti che il nemico era capace d'ogni iniquo procedere, s'insospettirono alla volta loro che si volesse collocarli senza mezzi di difesa tra i Francesi e gli Austriaci e farne macello; il piccolo esercito si smembrò e poco dopo fu sciolto.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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