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      Ma quando, sull'avvicinarsi dell'ora suprema, mentre pensavano che il sacrificio di sangue, al quale, per la salute e per l'onore del paese, s'apprestavano lietamente, li avrebbe fatti cari e fratelli a quelli uomini, si videro freddamente accolti, guardati con sospetto e rimproverati di commettere a un tentativo imprudente le sorti della città - quando s'udirono a dire: combattete dacchè lo volete: dopo la prima giornata saremo con voi - vacillarono e non osarono assumersi, essi poveri popolani, l'immensa responsabilità d'una iniziativa, non divisa da alcuno di quei, ch'essi s'erano avvezzi a chiamare i loro migliori. Non un abito - non una marsina - ripetevano dolorosamente gli insorti che cercavano ispirazione sul come si potesse più utilmente morir per l'Italia.
      Non una marsina, infatti, si vide tra i combattenti del 6 febbrajo a incuorarli, a dirigerli. I portoni, le finestre delle case si chiusero. Milano prese aspetto di città deserta. Unico, o quasi, delle classi medie che si mostrasse in quelle ore fu un Bianchi Piolti, eccellente giovane, allora in contatto con me, oggi, se non erro, deputato, pur sempre onesto e liberale nelle tendenze.
      Fin da quando il lavoro dei popolani accennò a tradursi in azione, io presentii quel pericolo; e parevami inoltre che, dov'anche le forze dell'Associazione fossero state sufficienti a vincere la prova in Milano, avremmo pur dovuto desiderare che in una lotta da iniziarsi a pro di tutti, tutti fossero rappresentati. M'era dunque rivolto a quelli fra i giovani intellettualmente educati, che nel 1848 erano stati uniti con me intorno alla bandiera sollevata dall'Italia del Popolo: prominenti fra questi, l'Allievi e Emilio Visconti Venosta.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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