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      La Convenzione venne, terza assemblea in un paese già concentrato a unità nazionale dopo tre anni di rivoluzione crescente, di libera stampa, d'agitazione popolare e di società giacobine, e quando fremeva nell'animo a tutti la coscienza d'una rivoluzione invincibile; la nostra si raccoglierebbe in sui primi moti di una insurrezione, incerta tuttavia de' suoi fati, in una terra che deve conquistarsi unità e indipendenza ad un tempo, da un popolo d'elettori buoni per istinto, ma ineducati, tra un popolo di eleggibili, ignoti per mancanza di contatto colle moltitudini e di vita pubblica anteriore; predominante necessariamente in essa una classe di cittadini timidamente devoti, di pretese superiori all'intelletto e dotati della semi-scienza fatale alle insurrezioni, che vede e calcola tutti i pericoli senza indovinare le audacie sublimi che possono vincerli. Chi può dire: noi avremo la Convenzione? E nondimeno a quali patti fu grande d'energia la Convenzione di Francia? Le denunzie che escivano pe' suoi membri dai banchi de' giacobini si trasformavano in condanne sulle labbra degli uomini del Comitato di salute pubblica o di Robespierre e si compievano sul patibolo. La guerra civile inferociva in seno alla Convenzione; una metà scannò l'altra: passeggiò su tutte, dominatrice tremenda, la ghigliottina. La dittatura a tempo e limitata di pochi chiamati dal popolo, invigilati dal popolo, mallevadori al popolo, è dunque siffattamente pericolosa, che debba preferirsi la dittatura della ghigliottina e lo spettacolo di terrore e di sangue, ch'oggi ancora impaurisce gli animi della Repubblica?


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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