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      Noi li amiamo come Italiani: noi li veneriamo come quei che sorsero mentre noi giacevamo; come quei che diedero all'Italia e alla Europa un esempio d'opinione popolare e concorde; come quei che pajono incaricati di affacciare ai popoli una continua protesta in nome nostro contro la tirannide che ci conculca. - I moti del 1820, e 21, furono predominati dagli stessi errori, errori, come dicemmo, più dell'epoca che degli uomini. Vero è che l'epoca ora è mutata, e gli stessi moti dell'Italia centrale lo provano; però l'anacronismo politico, commesso da chi resse que' moti, sgorga più evidente dall'ultime vicende che dalle prime. Poi le piaghe sanguinano tuttavia - e noi scriviamo coll'ultimo gemito di Ciro Menotti, e coll'eco dei fucili di Rimini nell'orecchio.
      La rivoluzione dell'Italia centrale presenta distinte due classi d'uomini: i molti insorti, e i pochi moderatori dell'insurrezione.
      Che volevano gl'insorti?
      Chiedetelo al pensiero che ordinava quei moti - chiedetelo al grido levato dai primi a insorgere in tutte le terre che afferravano spontanee il concetto di vita - chiedetelo al palpito di tutti i cori, al fremito generoso che invase la intera Penisola, quando narrarono i colpi di fucile tratti dalla casa Menotti, all'ardore che fece correre all'armi la gioventù di Bologna quando il vento recò ad essa l'eco del cannone di Modena - all'entusiasmo della gioventù parmigiana non avvertita, non coordinata, non commossa dalle congiure - alle stampe, ai bandi, ai colori adottati, ai viaggiatori che corsero da un punto all'altro per affratellare le varie contrade, alla bandiera che sventolò tra quei moti.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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