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      Il fermento insurrezionale in Italia - mi scriveva Attilio - dura, se debbo credere alle voci che corrono, tuttavia; e pensando che potrebbe ben essere l'aurora del gran giorno di nostra liberazione, mi pare che ad ogni buon patriota corra l'obbligo di cooperarvi per quanto gli è possibile. Sto dunque studiando il modo di potermi recare io stesso sulla scena d'azione..... ...................... e, se non vi riescirò, non sarà certamente mia colpa. Sarebbe mio pensiero di costituirmi, giunto su' luoghi, condottiero d'una banda politica, cacciarmi ne' monti, e là combattere per la nostra causa sino alla morte. L'importanza materiale sarebbe, ben lo veggio, per questo fatto assai debole, ma molto più importante sarebbe l'influenza morale, perch'io porterei il sospetto nel cuore del più potente nostro oppressore, darei un eloquente esempio ad ogni altro che come me fosse legato da giuramenti assurdi ed inammissibili, e fortificherei quindi la fiducia dei nostri, deboli più che per altro, per mancanza di fede ne' proprî mezzi e per l'esagerata idea delle forze nemiche........
      Quando Attilio mi scriveva (il 14 novembre) quelle parole e vagheggiava il partito estremo d'abbandonare elementi che potevano riuscire un giorno decisamente importanti all'insurrezione italiana, per cacciarsi disperatamente con pochi individui sull'Apennino, egli aveva già, quanto agli uomini d'oggi, il tarlo dello sconforto nell'anima. I lettori ricordano come dall'agosto al novembre del 1843 un fermento insolito, prodotto in parte da promesse inadempite da cospiratori, ma più assai dal mal governo e dalla naturale impazienza di un popolo tormentato, agitasse l'Italia centrale.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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