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      E per questa loro segregazione morale e intellettuale dal popolo, unico elemento progressivo ed arbitro oggimai della vita della nazione, erano diseredati d'ogni scienza e d'ogni fede dell'avvenire. Il loro concetto storico errava, con lievi rimutamenti, tra il guelfismo e il ghibellinismo; il concetto politico, checchè facessero per ammantarlo di veste italiana, non oltrepassava i termini della scuola che, discesa in Francia da Montesquieu ai Mounier, ai Malouet, ai Lally Tollendal e siffatti dell'Assemblea nazionale, s'ordinò a sistema tra gli uomini che diressero l'opinione in Francia nei quindici anni che seguirono il ritorno di Luigi XVIII: erano monarchici con una infusione di libertà, tanta e non più che facesse tollerabile la monarchia e, senza stendersi sino alla moltitudine a suscitar l'idea di diritti che aborrivano e di doveri che non sospettavano, attribuisse loro facoltà di stampare le loro opinioni e un seggio in qualche consulta. In sostanza non avevano credenza alcuna: la loro non era fede nel principio regio come quando il dogma del diritto divino immedesimato in certe famiglie o l'affetto cavalleresco posto in certe persone collocava il monarca tra Dio e la donna del core - mon Dieu, mon roi et ma dame: - era accettazione passiva, inerte, senza riverenza e senza amore, d'un fatto ch'essi si trovavano innanzi e che non s'attentavano d'esaminare: era codardia morale, paura del popolo al cui moto ascendente disegnavano argine la monarchia, paura del contrasto inevitabile fra i due elementi ch'essi non si sentivano capaci di reggere, paura che l'Italia fosse impotente a rivendicarsi con forze popolari anche quella meschina parte d'indipendenza dallo straniero ch'essi pure, teneri, per unica dote, dell'onore italiano, volevano.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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