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      Il leone ruggiva ancora: bisognava prima ammansarlo.
      In un indirizzo a Carlo Alberto, il governo provvisorio di Milano aveva, fin dal 23 marzo, invocando gli ajuti, lasciato intravvedere al re e alla diplomazia quali fossero le sue intenzioni(217)). Ma le sue dichiarazioni pubbliche posero un programma che differiva sino al giorno della vittoria la decisione della questione politica e la fidava per quel giorno al senno del popolo. LIBERI TUTTI, PARLERANNO TUTTI. - A CAUSA VINTA, LA NAZIONE DECIDERÀ - così nei proclami del 29 marzo, dell'8 aprile ecc., e queste dichiarazioni fatte ai Lombardi, ai Veneti, a Genova, al papa, erano pur fatte il 27 marzo alla Francia: IN SIFFATTA CONDIZIONE DI COSE, NOI CI ASTENEMMO DA OGNI QUESTIONE POLITICA, NOI ABBIAMO SOLENNEMENTE E RIPETUTAMENTE DICHIARATO CHE, DOPO LA LOTTA, ALLA NAZIONE SPETTEREBBE DECIDERE INTORNO AI PROPRII DESTINI (Vedi Documenti, pag. 354).
      E Carlo Alberto annunziava, nel proclama del 23 marzo, che le armi piemontesi venivano a porgere nelle ulteriori prove ai popoli della Lombardia e della Venezia quell'ajuto che il fratello aspetta dal fratello, dall'amico l'amico: annunziava poco dopo in Lodi, che le sue armi, abbreviando la lotta, "ricondurrebbero fra i Lombardi quella sicurezza che permetterebbe ad essi d'attendere con animo sereno e tranquillo a riordinare il loro interno reggimento".
      Era partito onesto; e i repubblicani lo accettarono, e vi s'attennero lealmente: traditi; poi, al solito, calunniati.
      Se di mezzo alle barricate del marzo fosse sorta, piantata dalla mano del popolo, la bandiera repubblicana - se gli uomini che diressero l'insurrezione, assumendosi una grande iniziativa rivoluzionaria, si fossero collocati a interpreti del pensiero che fremeva nel core delle moltitudini - l'indipendenza d'Italia era salva.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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