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      Il governo non aveva missione da quella infuori di ricevere i bollettini dal campo e magnificarli e preparare il funesto decreto del 12 maggio.
      Ed escì. Il programma di neutralità fu violato, quando pei sinistri eventi, che facevano presagire la catastrofe non lontana, importava più che mai attenervisi, per non gittar nuovi semi di discordia nel campo, per non togliere apertamente il suo carattere nazionale alla guerra, e per lasciar non foss'altro eredità d'un principio alla insurrezione futura. Noi perorammo, scongiurammo il governo, ma inutilmente. Volevan servire.
      E allora - allora soltanto - noi sentimmo necessità di protestare in faccia all'Italia. Quei che erano a quei giorni in Milano sanno che il farlo non era senza pericolo. E dovrebb'essere nuovo indizio a tutti, avversi o propizî, che noi non avevamo lungamente taciuto se non per amor di patria e per non rompere quella concordia, che, anche apparente, poteva giovare alla guerra.
      Il dì seguente al decreto, pubblicammo il documento seguente:
     
      AL GOVERNO PROVVISORIO CENTRALEDELLA LOMBARDIA.
     
      SIGNORI,
     
      Quando, compiti i prodigi delle cinque giornate, sublimi di vittoria e di fiducia nei risultati della vittoria, il popolo, solo sovrano su questa terra redenta col suo sangue, v'accettò capi, esso vi commetteva un doppio mandato: provvedere all'intera emancipazione del paese; e preparargli un terreno libero sul quale l'espressione del suo voto intorno ai futuri destini potesse sorgere spontanea, illuminata dalla discussione fraterna, accettata da tutti i partiti, solennemente legale, in faccia all'Europa, pura di basse speranze e di bassi timori, degna dell'Italia e di noi.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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