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      Tristissima e inevitabile conseguenza anche questa d'una guerra d'indipendenza affidata ad un re. Guerre siffatte, quando non trovino uomini apostolicamente credenti a guidarle, vogliono almeno duci che abbiano tutto da conquistare nella vittoria, tutto da perdere nella disfatta. Carlo Alberto non poteva riuscire a vittoria assoluta senza giovarsi d'un elemento - l'elemento popolare - che gli minacciava da lungi il trono; e cadendo, era certo, come ho detto poc'anzi, di serbarsi la sua corona.
      Se non che per ridurre il popolo ad accettare una pace all'Adige non era forse che un'unica via: porgli il pugnale del nemico alla gola, conchiuderla coll'Austriaco alle porte di Milano. E giunto una volta alle porte di Milano, l'Austriaco avrebbe, schernendo, lacerato ogni patto segreto in viso al patteggiatore.
      Intanto, la guerra era irremissibilmente perduta; e il decreto della fusione non fece che affrettar la catastrofe. Il popolo incominciò poco dopo a destarsi dal sonno delle illusioni e a sentire l'inganno.
      Gli avevano detto che, segnato il contratto, Genova avrebbe dato danaro, e il Piemonte soldati - e il governo invece andava or più che mai stimolandolo a sagrificî, e assumendo per la prima volta linguaggio inquieto. Gli avevano parlato di capitale, e di altro che il Piemonte, commosso dall'atto fraterno, gli avrebbe consentito con entusiasmo - e ascoltava invece discussioni esose d'ostilità e di mal celata diffidenza nella Camera torinese. Gli avevano promesso che, sicuri una volta del premio, Carlo Alberto e l'esercito avrebbero operato prodigî - e Carlo Alberto e l'esercito si stavano, dopo resa Peschiera, inerti, immobili sino al 13 luglio.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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