Pagina (834/1484)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      E le moltitudini cominciarono ad agitarsi, siccome persona inferma che si desta in accesso di febbre, a tender l'orecchio sospettoso ai romori che venivan dal campo, alle accuse che i chiaroveggenti movevano da molto tempo al governo, al gemito dei traditi del Veneto, e all'hurrah del croato che si spingeva a corsa non molestata fino ad Asola e a Castel Goffredo. Quasi ogni sera, la piazza san Fedele, dov'era il palazzo del governo, s'empieva di popolo chiedente nuove del campo, e quasi ogni sera il Casati ripeteva dalle finestre le solite frasi "non dubitassero: si vincerebbe: la prossima resa di Verona ridarebbe le città cadute del Veneto: la bandiera tricolore sventolerebbe presto sulle mura di Mantova per opera del magnanimo re e del prode esercito piemontese". Poi, si schermivano dall'agitazione crescente con decreti di leve, armamenti, ed imprestiti e con turpi vessazioni di polizia: dannose queste e semenza d'irritazione; buoni i primi, ma tardi, e mercè la pessima costituzione del ministero di guerra, inefficaci: mancavano armi, ufficiali, uniformi, e i primi battaglioni che s'affrettarono al campo sembravano, per difetto di tutto quel materiale che costituisce ai proprî occhî e agli altrui il soldato, un'accozzaglia di gente cacciata in guerra perchè il popolo non tumultuasse. Il popolo che in quella nudità d'ogni forma guerresca, in quelle vesti e giberne di tela - coperti di tela si mandavano perfino i destinati alle nevi del Tonale e dello Stelvio - ravvisava una dimostrazione innegabile della inerzia colpevole di tre mesi, tumultuava più forte.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





Veneto Asola Castel Goffredo Fedele Casati Verona Veneto Mantova Tonale Stelvio