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      Il pensiero della unità nazionale è troppo grande per essi: sanno che la corona d'Italia schiaccerebbe le auguste fronti dei nostri principi. Gli illusi patrioti li tentarono tutti, ad uno ad uno, nell'ultimo mezzo secolo, respinti da tutti; il più tristo rispose alla proposta col patibolo di Ciro Menotti: il più debole, Carlo Alberto, colla diserzione al campo nemico. Non si crea una nazione se non da chi l'ama: bisogna venerarne il concetto, incarnarlo in sè, consecrargli la vita, fremere, vegliar le notti, affrontar l'insulto, patire, fare per esso: i re non amano; hanno talora un'ambizione volgare, un interesse - voi stesso lo dite - a guida; e non possono levarsi all'ideale della creazione d'un Popolo. Poveri d'intelletto, corrotti dai godimenti del presente, immiseriti dall'adulazione servile che li circonda, non hanno nè possono avere intuizione dell'avvenire. Legati da vincoli di trattati, di parentela, di tradizioni dinastiche, tra la minaccia della diplomazia collettiva e quella dei popoli, ai quali ogni passo salito rivela un nuovo orizzonte di verità fatale alla monarchia, tremanti dell'una e degli altri, essi non porranno mai a rischio la loro piccola corona dell'oggi per la speranza di conquistarne una maggiore domani. E gli uomini di parte monarchica conoscono i loro padroni, nè s'attentano, nei loro disegni, di là dai confini voluti. Quei disegni non hanno varcato mai, non varcano in oggi, una timida, lontana, incerta speranza di un limitato ingrandimento territoriale, e non da conquistarsi coll'audace iniziativa dell'armi, ma da procacciarsi, quando noi popolo sorgessimo, dalle potenze occidentali, in ricompensa di pericoli più gravi rimossi, e patteggiando con Murat, coll'uomo del 2 dicembre, con qualunque possa ajutarli all'intento.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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