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      Cento mila soldati vegliano appiedi di quella croce: altri cento mila sono presti a raggiungerli.
      Al di qua della frontiera artificiale che la pace, comandata da un altro straniero alla monarchia, ci diede, io vedo un esercito regolare sommante nelle dichiarazioni governative a 380 000 uomini: una leva d'altri 50 000 che il Governo afferma poter chiamare immediatamente: una cifra di 130 000 guardie nazionali mobilizzabili a termini di una legge del 1861; e 30 000 volontarî che il Governo non può, dopo l'impresa meridionale, dubitare di vedere raccolti, al primo grido di guerra, intorno a Garibaldi. Sono 590 000 armati dei quali può volendo, disporre l'Italia. Dietro a quelli stanno da ventun milioni d'altri italiani, unanimi a desiderare l'emancipazione del Veneto e presti agli ajuti quando piaccia al Governo di rimovere, col suo cenno, dagli animi ogni dubbiezza sull'opportunità dell'impresa. Davanti ad essi si stende, campo di guerra, un terreno nostro, sul quale due milioni e mezzo di oppressi s'agitano irrequieti e più o meno audacemente ci presterebbero ajuto, non foss'altro - e per chi dubita di tutti e di tutto - d'informazioni, di mezzi e di quel fermento che inceppa la libertà, tanto essenziale, di moti al nemico. Tra il Veneto, il Trentino e l'Impero sta una serie di posizioni inaccessibili alla cavalleria e all'artiglieria e che, occupate in parte dall'esercito, in parte dall'insurrezione - facile a suscitarsi quando il Governo accenni volerlo - troncano le comunicazioni fra il nemico e la sua base di operazione.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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