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      Le monarchie, minacciate, condannate a vivere per un tempo soltanto e sapendolo, non possono dare ciò che presentono dover presto o tardi convertirsi in arme nelle mani dei suoi nemici. Ma perchè siamo repubblicani e ci assumiamo un'opera d'apostolato con chi non è tale, dobbiamo sapere e dire apertamente e senza riguardi tattici con amici o nemici, quale è, quale non è la Repubblica da noi invocata. L'appagarsi del nudo nome e dichiararsi campioni d'ogni uomo che scelga di proferirlo, è peggio che arrendevolezza puerile, è tradimento d'un dovere verso chi dobbiamo cercare di convincere: l'irritarsi della caduta di chi svisò il concetto repubblicano o intese a proteggerlo con fatti immorali o feroci, soltanto perchè chi determinò la caduta appartiene al campo nemico, è peggio che inutile: è oblio d'ogni missione educatrice sagrificata a un impulso d'odio che non dovrebbe allignare in noi. Poco importa inveire contro lo strumento immediato della caduta - quello strumento si romperà alla sua volta - ciò che importa è l'additare perchè quel travisato concetto fosse dal nascere condannato, per mano di chicchessia, a perire, e come non debba trarsene argomento alcuno a danno del vero e giusto concetto e della forza contenuta in esso per vincere. Ed è questo che la stampa repubblicana davvero dovrebbe fare. L'Instituzione che combattiamo non è oggimai più forte, tra noi, in Francia e altrove, di forza vitale propria: la sorreggono i nostri errori. Ogni incertezza lasciata dal nostro linguaggio o dal nostro silenzio su ciò che dovrà sottentrare, ogni vecchia paura rinvigorita da fatti come quei compiti a Parigi, ogni stolta minaccia di vendetta avventata nell'ira e dimenticata il momento dopo, è più potente puntello a un sistema cadente che non un esercito agitato da vergogne subìte e dal senso dell'onor nazionale o una moltitudine d'impiegati mal retribuiti, mal fidi e tentennanti fra le due parti o l'illusione mantenuta fiaccamente da una opposizione che accenna sempre a colpire, incapace di farlo, e alla quale il paese guardava un tempo sperando, oggi guarda a deplorarne le condizioni.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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