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      Nel primo atto dunque trovo due siti ne' quali gl'istrumenti possono giovarmi. Il primo è tutta l'arringa d'Attilia a Manlio nella seconda scena dal verso:
     
      A che vengo? Ah! sino a quando
     
      Dopo le parole a che vengo dovrebbero incominciare a farsi sentir gl'istrumenti, e or tacendo, or accompagnando, or rinforzando, dar calore ad una orazione già per se stessa concitata, e mi piacerebbe che non abbandonassero Attilia, se non dopo il verso:
     
      La barbara or qual è? Cartago o Roma?
     
      Credo per altro, particolarmente in questo caso, che convenga guardarsi dall'inconveniente di far aspettare il cantante più di quello che il basso solo esigerebbe. Tutto il calore dell'orazione s'intepidirebbe, e gl'istrumenti in vece di animare snerverebbero il recitativo, che diverrebbe un quadro spartito, nascosto e affogato nella cornice, onde sarebbe più vantaggioso in tal caso che non ne avesse.
      L'altro sito è nella scena settima dell'atto medesimo, ed è appunto uno di quei pochissimi luoghi ne' quali vorrei che Regolo abbandonasse la sua moderazione e si riscaldasse più del costume. Sono soli dodici versi, cioè da quello che incomincia:
     
      Io venissi a tradirvi ecc.
     
      sino a quello che dice:
     
      Come al nome di Roma Africa tremi.
     
      Se vi piace di farlo, vi raccomando la già raccomandata economia di tempo, acciocché l'attore non sia obbligato ad aspettare, e si raffreddi così quel calore ch'io desidero che si aumenti.
      E già che siamo alla scena settima dell'atto primo, secondando il piacer vostro, vi dirò che dopo il verso di Manlio:


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Lettere
Parte prima
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano
1954 pagine 1548

   





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