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      Vi confesso con tutto ciò che il mio genio è più per il semplice. Mi pare che una gran figura, nella quale sia luogo d'esprimere ogni picciolo lineamento, esiga un più esperto maestro che le molte delle quali la picciolezza assolve dagli scrupoli d'un esatto contorno. Ma, oltreché il mio Leango non è figurina così minuta, quando altri è costretto a sporcar tante tele è inevitabile prudenza l'andar cambiando maniera, per non rassomigliar troppo a se stesso. Il merito maggiore di quest'opera è negativo. Non potete immaginarvi quante vive descrizioni, quanti curiosi racconti e quante affettuose situazioni mi avrebbe fornito con isperanza di lode il fatto medesimo; ma, obbligato a servire alla prescritta brevità, ho dovuto rigettar come soverchio tutto ciò che non era assolutamente necessario. È vero che se non ho potuto procurar questa lode al mio lavoro mi sono studiato in contraccambio di assicurarlo dal biasimo di qualunque irregolarità.
      Tutte le unità e gli altri canoni drammatici, anche farisaici, vi sono superstiziosamente osservati: l'azione è sola: gli episodi son così necessari che ne fan parte. Può rappresentarsi tutto il dramma in una sala, in una galleria, in un giardino, o dove si voglia, purché sia un luogo della reggia; e basta a tutto lo spettacolo, senza bisogno d'indulgenza, il puro tempo della rappresentazione.
      Ma non ho mai in vita mia parlato tanto di me medesimo. Or me ne avveggo e ne arrossisco; non già perché io mi senta reo di filauzia, ma perché potrei comparirlo con voi.


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Lettere
Parte prima
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano
1954 pagine 1548

   





Leango