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      Fin dall'ordinario scorso mi fu comunicato il vostro sonetto, che in questo mi annunziate con lettera in data del dì 11 del corrente, e con sincerità fraterna vi scrissi che non avrei voluto che vi foste posto a giacere in codesto maladetto letto di Procuste, nel quale i primi lumi di Parnaso si trovano, per forza del caso, per lo più inferiori alle lucciole. Non che il sonetto non sia lodevole, particolarmente nel secondo quartetto: ma quell'"intanto", che accusa il bisogno e l'angustia dello scrittore, è un punto d'appoggio per l'innata malignità umana, che le basta per pretesto di non avvedersi de' solidi meriti che compensano questo leggiero difetto. Se il nostro benevolo Eminentissimo l'ha gradito come argomento del vostro buon cuore, del vostro giubilo e della vostra venerazione, il sonetto è bellissimo. Intanto non mi accusate di troppo rigore. Geloso della gloria di quelli ch'io amo come me stesso, non posso soffrire la più picciola nuvoletta capace di defraudarla di qualche parte di lume. Io vi tratto meno rigidamente di quel ch'io faccia me stesso. Se con voi sono Aristarco, divengo meco Eaco, Minosso o Radamanto. E dopo un esame così crudele giungo talvolta a veder gli altri, ma me non mai sodisfatto di me medesimo. Ed il peggio dell'affare è ch'io non posso per questa tormentosa dubbiezza arrogarmi in buona coscienza la lode del modesto, essendo più naturale che una così eccessiva diffidenza non già da virtuosa umiltà, ma derivi più tosto da una insaziabile superbia, che aspira all'infallibilità non concessa a' mortali e contrastata anche al gran Servo de' Servi.


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Lettere
Parte seconda
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano
1954 pagine 1264

   





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