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      Lo spettacolo ch'io vidi, come in un quadro, presentarmisi innanzi d'una grande e sola azione, lucidamente proposta, magistralmente condotta e perfettamente compiuta; la varietà de' tanti avvenimenti che la producono e l'arricchiscono senza moltiplicarla; la magia d'uno stile sempre limpido, sempre sublime, sempre sonoro e possente a rivestir della propria sua nobiltà i più comuni ed umili oggetti; il vigoroso colorito col quale ei paragona e descrive; la seduttrice evidenza con la quale ei narra e persuade; i caratteri veri e costanti, la connessione delle idee, la dottrina, il giudizio, e sopra ogni altra cosa la portentosa forza d'ingegno che, in vece d'infiacchirsi come comunemente avviene in ogni lungo lavoro, fino all'ultimo verso in lui mirabilmente s'accresce, mi ricolmarono d'un nuovo sino a quel tempo da me non conosciuto diletto, d'una rispettosa ammirazione, d'un vivo rimorso della mia lunga ingiustizia e d'uno sdegno implacabile contro coloro che credono oltraggioso all'Ariosto il solo paragon di Torquato. Non è già che ancor io non ravvisi in questo qualche segno della nostra imperfetta umanità; ma chi può vantarsene esente? Forse il grande suo antecessore? Se dispiace talvolta nel Tasso la lima troppo visibilmente adoperata, non soddisfa nell'Ariosto così frequentemente negletta; se si vorrebbe togliere ad uno alcuni concettini inferiori all'elevazione della sua mente, non si lasciano volentieri all'altro alcune scurrilità poco decenti ad un costumato poeta; e se si bramerebbero men rettoriche nel Goffredo le tenerezze amorose, contenterebbero assai più nel Furioso se fossero meno naturali.


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Lettere
Parte seconda
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano
1954 pagine 1264

   





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