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      Le quali cose conciliandogli maggior benevolenza et interessando molti nella sua conservazione, lo stringevano a non rimaner in quella sua rigida deliberazione di non ricever le provisioni dalla publica munificenza assegnate; le quali gli diedero abilità d'essercitare gl'atti della liberalità, l'abito della cui virtú aveva come naturale ch'anco nella sua povertà non negò mai cosa che gli fosse domandata, o del danaro, se n'aveva, o de' libri. E se non era cosa a lui necessaria, il darla era infallibilmente donarla. Et in questi ultimi tempi, ch'aveva piú che dare in elemosina e doni, a chi lo ricercava di prestito ha dato tanto che chi lo sa afferma a buone prove ascendere sopra duemila ducati. E la sua maniera di prestare era con questo termine, che volentieri, ma con condizione che non gli fosse ritornato il prestito, s'egli non lo ridomandava, come volendo donare senza ch'il donato avesse anco questa inferiorità d'aver ricevuto. E sovente poi aveva in bocca un detto: "Imitiamo Dio e la natura, che per molto che diano, mai prestano, e fuggiamo il comune errore che il prestare è perdere la cosa o l'amico, non averlo in rossore o disgusto".
      Mutò anco in questo, che da quel tempo indietro sino che visse, non conversò piú fuori della sua camera nel monasterio, se non ne' luoghi publici, chiesa e coro, intervenendo a' divini offizii e refettorio per la mensa, essendo stata dopo la sua vita come eremitica e totalmente solitaria, per quanto il servizio publico lo tollerasse, et il suo mondo ristretto nella sua povera cella et in quel tramite ch'è tra Rialto e San Marco, ch'è la sola strada della Merzaria, spendendo tutto il tempo negl'essercizii della sua anima, ne' studii mai interrotti e nel servizio publico e del prossimo privato, sendo venuto a tale, ch'in tutte le materie veniva consultato et a tutti rispondeva con tanta mansuetudine e profondità, come se fosse stato di tutti avvocato.


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Vita del padre Paolo
di Fulgenzio Micanzio
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