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      E benché già vecchio, con l'istessa ilarità che conversava coi piú provetti senatori, cosí s'accomodava a quei giovanetti della nobiltà primaria, che consacrano l'ingegno e se stessi alla virtú et alla patria coll'onore, che chiameremo il tirocinio di Stato nella republica, che sono detti savii d'ordini. A questi era archivio, libraria, istoria, Tacito, Polibio, Senofonte, Tucidide, e chi no?
      Lo raccorderanno sempre con ammirazione quei elevati soggetti, Pietro Contarini, Leonardo Giustiniano, Giacomo Marcello, Giorgio Contarini, Andrea Capello, Marin Zane, il fiore della nobiltà, dell'ingenuità e speranza della patria, questo ingegno sublime Giacomo Moresini (oh! che troppo acerba morte ha rubbato questo, mentre scrivo, gran delizie agl'amici, grand'essempio a' coetanei, gran patrone a' servitori, gran speranza alla patria) e tanti altri. Ho lasciato in ultimo tra questi il signor Marco Trivisano, perché non si può passar cosí in una parola.
      Prese questo signore intrinsichezza col padre, quando fu creato savio degl'Ordini, come d'ordinario facevano gl'altri. Ma la strinse di maniera, dopo che, rinunciato assolutamente l'attender agl'onori, si diede alla filosofia morale et ad ogni sorte d'erudizione che possa render miglior un uomo, ch'era come cotidiana, et il padre ne riceveva tal gusto che, non ostante le sue occupazioni, aveva dato l'ordine che, sempre che venisse, fosse introdotto, il che non si faceva di nissun altro. E questo perché la conversazione era passata in grado d'amicizia, con piena libertà di dirgli: "Andatevene, signore, ch'io sono occupato". Godeva il padre sopra modo, tra l'altre parti ingenue e rare qualità e virtú, della veracità di quel signore, e diceva liberamente: "Lodato Iddio, che ho pur trovato uno che mi parla non in maschera". E veramente gli diceva il signor Marco svelatamente tutte le cose di Venezia, le condizioni delle persone, gl'interessi, la portata, in che isquisitamente è informato, ma candidamente i difetti che scopriva nell'istesso padre.


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Vita del padre Paolo
di Fulgenzio Micanzio
pagine 190

   





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