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      Dirò anco un particolare, ben leggiero, ma che mostrerà qual fosse la costanza d'animo e l'intiera cognizione e vivezza de' sensi in quell'estremo. Aveva il padre nelle sue stanze cosí ordinato ogni cosa, che subito metteva le mani a quello che l'occasione ricercasse, fosse libri, scritture, stromenti varii, sino le piú minime cosuccie. Alle sei ore di quell'ultima notte volse nettarsi la lingua con un instromento da lui molto tempo usato, et ordinò a fra Marco d'andar in tal luogo a pigliarlo. Vi andò col lume in mano e ritornò dicendo non vi essere. "Vi è, - replicò il padre - guardate meglio, ch'è cosa picciola". Ritornò e lo trovò, e da sé si nettò la lingua, continuando con gl'astanti con una tranquillità inestimabile, senza un gemito, senza un lamento, con detti memorabili, di quando in quando repetendo alcuni devoti detti delle Sacre Scritture, e spessissimo: "Orsú, andiamo ove Dio ci chiama". E vedendo gl'astanti che la voce mancava e gli polsi tendevano al fine, lo pregavano di prender riposo, al che egli sorrise.
      Cosí egli passò sempre come sussurrando tra sé, che non si poteva intender bene ciò che dicesse, se non qualche parola della Scrittura, et una volta: "Andiamo a San Marco, ch'è tardi", ch'è tutto quanto nella sua infermità si sentí senza connessione e retto senso. Tra tanto sonorono le otto ore. Egli le numerò e chiamò fra Cosimo e gli disse: "Queste sono le otto ore; spedite, se volete darmi ciò ch'ha ordinato il medico". Ma non ne poté ricevere se non una picciola parte.


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Vita del padre Paolo
di Fulgenzio Micanzio
pagine 190

   





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