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      Nei primi tempi storici la grande maggioranza del sesso maschile era schiava come la totalità del sesso femminile. Molti secoli trascorsero, e secoli illustrati da una brillante coltura intellettuale, prima che dei pensatori avessero l'audacia di contestare la legittimità o l'assoluta necessità dell'una o dell'altra delle due schiavitù. Finalmente questi pensatori comparvero, e coll'aiuto del progresso generale della società, la schiavitù del sesso maschile finì per essere abolita presso tutte le nazioni cristiane d'Europa (esisteva ancora or fanno appena cinque o sei anni, presso l'una di esse), e la schiavitù della donna si modificava, poco a poco, in una subordinazione temperata. Ma questa subordinazione tal quale sussiste oggidì, non è una istituzione adottata, dietro matura deliberazione, per considerazioni di giustizia o di sociale utilità; è lo stato primitivo di schiavitù, che si perpetua attraverso una serie di addolcimenti e di modificazioni dovute agli stessi fattori che hanno mano mano civilizzato le forme e subordinato le azioni degli uomini al controllo della giustizia ed all'influenza di idee umanitarie; la brutale impronta della sua origine non è scancellata. Non v'è dunque nessuna presunzione da cavare, dall'esistenza di questo regime, in favore della sua legittimità. Tutto quanto se ne può dire si è ch'esso è durato fino ad oggi, mentre altre istituzioni escite al par di esso dalla stessa sozza sorgente, sono scomparse; ed in fondo, è appunto questo che dà una strana fisonomia all'affermazione che la disparità di diritti fra l'uomo e la donna non ha altra origine che la legge del più forte.


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La servitù delle donne
di John Stuart Mill
Carabba Editore Lanciano
1932 pagine 161

   





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