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      In nessun altro caso, le alte funzioni sociali sono chiuse a qualcuno per una fatalità di nascita che niuno sforzo, e nessun cangiamento può vincere. Le incapacità religiose (che hanno d'altronde quasi cessato d'esistere ed in Inghilterra e sul continente) non chiudono irrevocabilmente una carriera; l'incapace diviene capace convertendosi ad altra confessione religiosa.
      La subordinazione sociale delle donne sorge come un fatto isolato, in mezzo alle istituzioni sociali moderne; è una lacuna unica nel loro principio fondamentale; è il solo vestigio d'un vecchio mondo intellettuale e morale demolito dovunque, mal conservato in un punto solo, quello che presenta un interesse più universale. È come se una gigantesca pagoda, od un vasto tempio di Giove Olimpio surgesse al posto che occupa S. Paolo, servendo al culto quotidiano, mentre che intorno a lui le chiese cristiane non s'aprissero che nei giorni festivi. Questa dissonanza fra un fatto sociale unico e tutti gli altri fatti che lo circondano, e la smentita che questo fatto oppone al movimento progressivo, orgoglio del mondo moderno, che ha spazzato via una dopo l'altra tutte le istituzioni improntate dello stesso carattere d'ineguaglianza, dà seriamente da meditare ad un osservatore sulle tendenze dell'umanità. Di là scaturisce contro l'ineguaglianza dei sessi una presunzione prima facie assai più forte di quella che la consuetudine può creare in suo favore nelle presenti circostanze e che basterebbe, sola, a lasciar la questione indecisa, come la scelta fra la repubblica e la monarchia.


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La servitù delle donne
di John Stuart Mill
Carabba Editore Lanciano
1932 pagine 161

   





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