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      La Chiesa rimaneva ancora abbastanza fedele ad una morale superiore per esigere un sì formale dalla donna al momento del suo matrimonio; ma questo non provava per nulla che il consenso non fosse forzato; era affatto impossibile ad una giovinetta ricusare al padre obbedienza s'egli persisteva nell'esigerla, a meno di ottenere la protezione della religione colla ferma risoluzione di pronunciare i voti monastici. Una volta marito, l'uomo, aveva altre volte (avanti al cristianesimo) diritto di vita e di morte sulla moglie. Ella non poteva invocare la legge contro di lui; egli era l'unico suo giudice e la sola sua legge. Per lunga pezza egli potè ripudiarla, mentre ella non aveva contro di lui lo stesso dritto. Nelle vecchie leggi inglesi, il marito si chiama signore di sua moglie, egli era, alla lettera, considerato come suo Sovrano, in guisa che l'omicidio di un uomo per fatto di sua moglie si chiamava tradimento (basso tradimento per distinguerlo dall'alto tradimento) ed era vendicato più atrocemente che il delitto d'alto tradimento, dacchè la pena era d'esser bruciata viva. Dappoichè queste orridezze sono cadute in disuso (poichè per la maggior parte non sono abolite, o non lo furono che lungo tempo dopo esserne cessata l'applicazione) si suppone che tutto è per lo meglio nel patto matrimoniale qual'è oggigiorno, e non si cessa di ripetere che la civiltà ed il cristianesimo hanno ristabilito la donna nei suoi giusti diritti. Non è però men vero che la sposa è realmente la schiava del marito non meno, nei limiti dell'obbligazione legale, che gli schiavi propriamente detti.


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La servitù delle donne
di John Stuart Mill
Carabba Editore Lanciano
1932 pagine 161

   





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