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      Non v'è che un decreto giudiziario che possa autorizzarla a vivere separata, dispensarla dal rientrare sotto la guardia d'un carnefice esasperato, e farle facoltà d'applicare ai suoi propri bisogni i guadagni ch'ella può fare, senza il timore che un uomo, ch'ella non ha visto da vent'anni forse, le venga sopra, un bel giorno, a rapirle tutto quel che possiede. Fino a questi ultimi tempi le corti di giustizia non potevano decretare queste separazioni che al prezzo di spese enormi il che le rendeva inacessibili alli individui che non appartenevano ai più alti ranghi sociali. Oggi ancora la separazione non è accordata che pel caso d'abbandono, o per gli ultimi eccessi di cattivi trattamenti; e ancora si deplora ogni giorno ch'essa sia accordata troppo facilmente. Certamente, se la donna non ha che un destino per tutta la vita, quello d'essere la schiava di un despota, se tutto per lei dipende dal trovare uno che faccia di lei la sua favorita piuttosto che una sofferente, è un atroce aggravamento della sua sorte quella di non poter tentarla che una sola volta. Dappoichè tutto, nella vita, per lei dipende dal caso fortuito di trovareun buon padrone, sarebbe necessario ch'ella avesse il dritto di cangiare, eppoi ancora cangiare, fino a ch'ella l'avesse trovato. Non intendo dire che si debba conferirle questo privilegio. È un'altra questione. Non intendo entrare nella questione del divorzio, colla libertà d'un nuovo matrimonio. Mi limito a dire, adesso, che per quelli che non hanno altro destino che la servitù non v'ha altro mezzo di mitigazione di rigore, ed ancora è ben insufficiente, quello, cioè, di scegliersi liberalmente il loro padrone.


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La servitù delle donne
di John Stuart Mill
Carabba Editore Lanciano
1932 pagine 161