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      Chi gli era caduto vivo nelle mani era stato macellato o fatto schiavo e conservato ad una sorte più terribile della morte.
      Quanto sangue sparso allora! Egli fremeva della barbara Gioia(3) al pensiero di quell'eccidio, e gli sembrava di veder scorrere ancora ai suoi piedi, sulla sabbia del deserto, un ruscello di sangue umano, rosso; gli pareva di allungare il braccio colla mano, piegata a mo' di scodella, di attingere quel liquore rosso, caldo, e di portarlo alle labbra. Spegnere la propria sete col sangue dei morti nemici! Dimenticò per un'istante la propria sete, il suo sfinimento, e si rizzò fiero, maestoso, sul suo cavallo.
      Io! Il principe Ramsette! Ma poi ricadde nell'antica prostrazione; la persona si curvò ed egli dovette con ambo le braccia afferrare il collo del fido cavallo e stringersi a quello, per non stramazzare al suolo.
      La sua ultima vittoria, perchè i vinti avevano implorato l'aiuto dei potenti ed odiati romani, ed il proconsole aveva avocato a sè la causa ed osato citare lui, un principe, lui, Ramsette, al proprio tribunale.
      Aveva risposto: Un libero principe non può venir giudicato da nessuno! ed aveva invitato il proconsole al proprio tribunale.
      Aveva armato la sua tribù. Sperava di vincere. I suoi erano uomini liberi; i romani schiavi. Un uomo libero vale per cento, per mille schiavi e ne sbaraglia una legione. Eppoi egli si lusingava, che tutte le altre tribù si sarebbero unite a lui, le libere, per conservare la propria libertà, le soggiogate, per scuotere il durissimo giogo.


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I sogni dell'anarchico
di Ugo Mioni
Libreria Artiginelli Milano
1922 pagine 134

   





Gioia Ramsette Ramsette