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      È quella la terra dei suoi avi; là lavorò il nonno, là il padre, là egli apprese amore al lavoro, alla vita all'aperto, alla piena luce del sole; i fratelli si erano dipartiti; uno era partito al servizio delle armi, l'altro andato ad abitare in città, del terzo non si sapeva nulla: Uno strano fanciullo, così diverso dal babbo e dai fratelli; un fanciullo dagli occhi grandi, profondi come il mare, neri come la notte; un'anima serena, pia, chiusa, che porgeva ascolto alle voci misteriose dei venti, del lago, dei torrenti, dei fiori: i fiori gli sembravano piccoli campanelli, simili alle squille di argento che i fanciulli agitavano in chiesa per annunziare che il sacrifizio stava per incominciare; e quelle squille lo chiamavano lontano, lontano; in altre terre, in altre regioni. Egli aveva seguito il suono misterioso di quelle campane, la voce del vento, il rumoreggiar dei torrenti, che gli destavano una nostalgia grande di una patria lontana, della sua vera patria, che non era ancora la patria celeste; che si trovava sulla terra; dove, ei non lo sapeva; ma si doveva trovare, e dove avrebbe trovato l'avveramento dei suoi sogni, l'esaudimento dei suoi voti, e pace, grande pace, quella pace che desiderava, sospirava, anelava; senza della quale non poteva vivere, e che non trovava, non avrebbe mai trovato a casa, presso i fratelli; nemmeno presso Cecilia, la bella fanciulla bruna, robusta, dall'eterno sorriso sulle labbra di corallo, la quale lo seguiva continuamente; appariva sempre là dove egli si trovava, e gli offriva istintivamente le sue braccia, ben tornite come fusi e le sue labbra coralline al bacio.


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I sogni dell'anarchico
di Ugo Mioni
Libreria Artiginelli Milano
1922 pagine 134

   





Cecilia