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      Né mai scemava, anzi crescea l’ardore,
      Era poi mercè degna un dolce sguardoD’un lungo, ardente e ben provato amore;
      O mio fiero destin, malvagio e rio,
      Perché non nacqui a sì bel tempo anch’io?
     
      Quei ch’avevano ’l desio corrispondenteAl desiato fin giungeano tosto:
      Ma ad alcuno accadea d’amar soventeTal ch’avea in altri il suo disegno posto
      E perch’era l’amor vero e fervente,
      E ’l dolor rendea l’animo indisposto,
      I rivali venian con dura sorteSpesso ad arme, a ferite, a sangue, a morte.
     
      Quivi occorrea ch’Amor, sì come il solePenetrando co’ rai dentro il terreno,
      Gli dà virtù, che concepir vi suoleFior delicati e fresche erbette a pieno:
      Tal egli con sue fiamme interne e solePenetrando de gli uomini nel seno
      Lor porgea tal valor, che d’onor degniFea germogliar mille felici ingegni.
     
      Questi s’udian con chiari e dolci stiliDel cor gli affetti esprimere diversi,
      Fiorian da questi l’opere gentili,
      Le dolci rime e i leggiadretti versi.
      Lontani da pensieri ingrati e viliGli intelletti purgati erano e tersi;
      Che ciascun per gradire a chi più amavaA gara onori e meriti acquistava.
     
      Per le floride spiaggie e nell’erboseRive de i chiari e liquidi cristalli,
      Al cantar delle Naiade amoroseGuidavan le Napee vezzosi balli;
      Queste di gigli e d’odorate rose,
      Quelle ornate di perle e di coralli,
      Ciprigna bella in mezo lor si serra,
      Che co’ begli occhi fa fiorir la terra.
     
      Sempre in lor compagnia star si vedeaDe’ pastorelli, una ridente schiera,
      Chi canta, chi contempla la sua dea,
      Chi fior le dona e chi la chiama altera.
      V’era Aci e la fugace Galatea,


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Il merito delle donne
di Moderata Fonte
pagine 220

   





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