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      Il costume latino di abitare villaggi aperti e di raccogliersi nella rocca solo in occasione di feste e adunanze, o in caso di necessità, fu, secondo ogni apparenza, modificato nella marca di Roma, assai prima che in qualunque altro luogo del Lazio. Non già che il Romano abbia cessato di lavorare egli stesso i suoi poderi, o di considerarli come la sua vera e prima abitazione; ma se non altro la malaria della campagna doveva far sì che egli prediligesse la dimora sulle più ventilate e salubri colline della città; e insieme ai contadini deve da antichissimo tempo aver preso dimora nella città una numerosa popolazione non agricola di forestieri e di indigeni. Così viene in qualche modo a spiegarsi la densa popolazione dell'agro romano, il quale paludoso in parte e arenoso, non occupava che una superficie di cinque miglia e mezzo quadrate, e sin dai primordi della più antica costituzione somministrava già una guardia cittadina di 3300 uomini liberi, e contava perciò almeno 10.000 abitanti liberi. Ma ciò non basta. Chi conosce i Romani e la loro storia, sa che il carattere particolare della loro attività pubblica e privata dipende dalla loro vita cittadina e mercantile, e che l'antitesi fra i Romani e gli altri Latini, e specialmente tra i Romani e gli Italici, è innanzi tutto l'antitesi tra il cittadino e il contadino. Non già che Roma sia una città mercantile come Corinto o Cartagine, poichè il Lazio è un paese essenzialmente agricolo, e Roma fu e rimane sempre una città latina.


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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 327

   





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