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      I trattati che egli conchiude con gli stranieri, in nome del comune, sono obbigatorii per tutto il popolo, benchè nessun membro del comune sia vincolato da un trattato con coloro che non fanno parte della comunità. Il suo comando (imperium) è onnipossente e in pace e in guerra; perciò i messi (lictores, da licere) lo precedono colle scuri e coi fasci ovunque si rechi per l'esercizio delle sue funzioni. Egli solo ha il diritto di parlare in pubblico ai cittadini, ed egli tiene le chiavi del tesoro comune. A lui spetta, come al padre, il diritto di punire e la giurisdizione. Egli decreta le pene disciplinari, particolarmente i colpi di verga, per mancanze nel servizio militare. Egli siede in giudizio per tutte le cause private e criminali, e decide inappellabilmente della vita e della morte, come della libertà avendo egli la facoltà di condannare il cittadino a cadere in condizioni servili presso il concittadino, o di ordinarne la vendita come schiavo effettivo, e farlo quindi deportare fuori dello stato. Egli ha il diritto, ma non l'obbligo, di concedere che il condannato a morte si appelli al popolo per ottenere la grazia. Chiama il popolo alle armi, comanda l'esercito, ma in caso di incendio deve accorrere personalmente sul luogo. Come il capo di famiglia non già è il più potente, ma il solo potente nella famiglia, così il re non è il primo, ma l'unico depositario del potere dello stato. Egli può, per agevolarsi l'esercizio del potere, deferire ad altri alcune speciali facoltà, come le comunicazioni ai cittadini, il comando in guerra, le decisioni delle cause di minore importanza, la inquisizione sui delitti; egli può, specialmente quando sia obbligato ad allontanarsi dal territorio della città, lasciarvi un rettore della città (praefectus urbi) col pieno potere d'un luogotenente.


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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 327