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      Nel modo come, secondo le nostre indagini, erano costituite le genti romane, esse non potevano certamente avere un capo visibile; e nessuna delle genti avrebbe potuto scegliere un individuo a rappresentare il comune capo stipite dal quale derivavano, o credevano derivare, tutti i membri d'un medesimo consorzio gentilizio. Ma nei tempi in cui, dall'unione di tutti i consorzi, fu costituito pienamente lo stato, si deve ritenere che le cose procedessero diversamente, e che l'adunanza degli anziani di ciascuna gente abbia formato il senato primitivo, e perciò pare che anche più tardi ogni senatore sia stato in certo qual modo il rappresentante di una delle unità elementari dello stato, cioè di una gente. Questo spiegherebbe perchè il senatore, una volta eletto, rimanesse di fatto, se non di diritto, nel consiglio, per tutta la sua vita. Questo spiegherebbe, anche il motivo per cui si trova prestabilito il numero dei senatori uguale al numero dei consorzi gentilizi accolti nello stato; cosicchè, ammettendo alla cittadinanza nuovi comuni che, come Roma, componevansi egualmente di consorzi gentilizi, si veniva per necessità e per ragioni di stato ad aumentare il numero dei senatori. Ma questa rappresentanza delle genti mediante l'ordinamento del senato era piuttosto nello spirito dell'istituzione, che nel rigore giuridico: in quanto era sempre lasciata al re la libera scelta dei senatori e perfino la facoltà di chiamare in senato uomini non ascritti alla cittadinanza legale; la quale cosa non si può affermare che avvenisse sino dai tempi del governo regio, ma diciamo che non vi sarebbero argomenti per negarne la possibilità. Fintanto che l'individualità gentilizia rimase ferma nella coscienza del popolo, si mantenne fermo il principio che alla morte d'un senatore il re dovesse chiamare a succedergli un altro individuo esperto e anziano dello stesso consorzio gentilizio; ma colla crescente fusione e coll'intima unione del comune popolare, passò di fatto anche la nomina dei senatori al libero arbitrio dei re, e non ne venne altro inconveniente se non quella che il re poteva lasciare vacanti dei seggi senatorii.


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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 327

   





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