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      Gią dai tempi pił remoti era stata introdotta nel diritto romano la massima che regolava giuridicamente la complessa posizione dei coabitanti. Con essa si stabiliva che: se il signore, in occasione di un pubblico atto legale, come testamento, processo, censimento, ecc., aveva rinunciato esplicitamente o tacitamente al suo diritto autoritario, nč egli stesso nč i suoi successori potevano pił revocarlo.
      I clienti e i loro discendenti, non possedevano ancora nč diritto di cittadini nč di ospiti, perchč per il primo era necessaria la formale concessione da parte del comune e il secondo presupponeva che il diritto di cittadinanza dell'ospite fosse esistito in un comune avente relazione col comune romano. La loro era dunque una libertą protetta legalmente insieme ad una continuata non-libertą giuridica: perciņ per lungo tempo i loro rapporti patrimoniali pare siano stati giuridicamente considerati alla stregua di quelli degli schiavi nei rapporti giuridici col patrono, e questi li avrą dovuti necessariamente rappresentare nei processi, mentre poteva, in caso di bisogno, prelevare imposte su di essi e avocarli a sč in caso di responsabilitą penali.
      Ma a poco a poco i coabitanti si liberarono da questi legami. Essi incominciarono coll'acquistare o vendere in proprio e, senza l'assistenza del patrono, ad invocare giustizia dinanzi ai tribunali.
      L'uguaglianza giuridica dei cittadini nel matrimonio e nel diritto ereditario era assai pił facilmente concessa agli stranieri piuttosto che a questi non-liberi appartenenti a nessun comune, ma non poteva impedire a questi di contrarre matrimoni nella loro stessa classe e di stabilire rapporti giuridici relativi all'autoritą maritale e paterna, all'agnazione, alla stirpe, all'ereditą e alla tutela, conforme le leggi del comune.


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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 327