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      Liberi di disporre delle loro sostanze, guadagnavano denari, acquistavano beni nella loro nuova patria, e tramandavano, come i cittadini politici, il loro patrimonio ai figli ed ai nipoti. E anche quella primitiva dipendenza dei clienti da una delle famiglie patrizie andava sempre più affievolendosi. E se dapprima il liberto, o lo straniero emigrato in Roma, si trovavano isolati nello stato, non era più questa la sorte dei loro figli e meno ancora dei loro nipoti; e così, per beneficio del tempo, andava sempre più indebolendosi l'istituzione del patronato. Se nei tempi antichi il cliente, al fine di ottenere protezione, doveva dipendere esclusivamente dalla mediazione del patrono, quanto più lo stato si venne consolidando e per conseguenza diminuì l'importanza dei consorzi gentilizi e dei casati, il re, anche senza la mediazione d'un patrono, doveva accordare a ciascun cliente giustizia e riparazione dei torti.
      È inoltre assai probabile che molti non-cittadini, e particolarmente i membri dei disciolti comuni latini, cercassero di sottrarsi in generale all'onere della clientela privata, mettendosi addirittura sotto la clientela del re, e così umiliandosi a quello stesso padrone, a cui, sebbene in modo diverso, servivano anche i cittadini. E siccome, in ultima analisi, la signoria dei re sui cittadini dipendeva dal buon volere di questi ultimi, è naturale che al re dovesse piacere di formare con i suoi clienti particolari un consorzio più strettamente a lui congiunto, de' cui doni e delle cui eredità poteva avvantaggiarsi il suo tesoro – a che si aggiungeva il tributo di protezione che gli accolti a domicilio in Roma pagavano al re – sulle cui prestazioni personali egli potesse far conto come patrono, e ch'egli trovasse sempre pronto a fargli spalla e corteo.


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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 327

   





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