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      Questo era evidentemente un contratto che fondavasi sulla reciproca fede, e non poteva sussistere senza il concorso di una potente e religiosa consacrazione; e questa consacrazione non mancava. L'istituzione assolutamente morale e religiosa della clientela si fondava in ultima analisi, senza dubbio, sopra questa assegnazione di usufrutti. Le quali non divennero già possibili solo dopo la soppressione della proprietà collettiva del suolo, poichè prima che fosse eseguita la spartizione dei campi, il privato poteva concederne l'uso ai suoi dipendenti e durante il periodo della «comunanza campestre» questo diritto spettava alla stirpe, per cui la clientela romana non si considerava come personale, e fin dal principio il cliente con tutta la sua famiglia si raccomandava al patrono ed alla sua famiglia per protezione e fedeltà. Da questa antichissima forma della proprietà rurale, deriva il fatto, per cui dalle grandi possidenze rurali nascesse in Roma una nobiltà campagnuola, ma non già una nobiltà cittadina.
      Siccome i Romani non conoscevano la rovinosa istituzione del ceto intermedio, il proprietario romano era legato ai suoi campi poco meno del fittavolo e dell'agricoltore. Egli stesso curava ogni cosa e il più ricco romano riteneva quale massima delle lodi l'esser tenuto per esperto nel governare i propri beni. La sua vera casa era in mezzo ai campi; in città non aveva che un alloggio per accudire ai propri affari e forse per respirar l'aria pura durante la stagione estiva. Prima e fausta conseguenza di queste disposizioni fu, che i rapporti tra i maggiorenti e il popolo minuto si stabilirono su di un fondamento morale, e così venne essenzialmente a scemare il pericolo della sproporzione tra le classi.


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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 327

   





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