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      Questi giovanetti cantori erano accompagnati talvolta dal flauto, e talaltra cantavano senza accompagnamento (assa voce canere). Al banchetto cantavano l'uno dopo l'altro anche gli uomini; ma questo è un costume più recente, tolto verosimilmente dai Greci. Noi non sappiamo nulla di più di queste canzoni genealogiche; ma non occorre osservare che esse descrivevano e narravano e insieme col genere lirico cominciavano a trattar l'epico, anzi dal momento lirico traevano i primordi dell'epopea.
      Nell'antichissimo carnevale del popolo, oltre la danza gioviale o satura che senza dubbio risale al di là dell'epoca della separazione delle schiatte, erano in uso altri generi di poesia. Non vi sarà certo mancato il canto; ma era nella natura dei fatti, che in questi giuochi, rappresentati particolarmente in occasione di feste comunali e di nozze, si incontrassero d'ordinario più ballerini, od anche più schiere di ballerini, e il canto desse motivo ad una cotal maniera di azione, che, come è ben naturale, prendeva di preferenza un carattere burlesco e spesso lubrico. Così nacquero in queste occasioni non solo le canzoni a intreccio come più tardi le vediamo comparire sotto il nome di canti fescennini, ma ancora i germi d'una commedia popolare, che, considerando l'ingegno arguto degli Italici, la loro attitudine per le rappresentazioni esteriori e pel comico, e il loro diletto per la gesticolazione e pel travestimento, dovevano dirsi seminati su di un eccellente terreno. Nulla fu conservato di questi incunaboli dell'epopea e del dramma dei Romani.


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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 327

   





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