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      Con simile vincolo la nomina dei supremi magistrati ordinari era in certo qual modo materialmente trasferita al comune, se non che, praticamente, vi era però ancora una notevole differenza tra quel diritto di proposizione ed il formale diritto di nomina. Il console, che presiedeva all'elezione, non solo esercitava a rigor di termini tale ufficio, ma in forza del suo diritto, pari in sostanza a quello del re, poteva, ad esempio, escludere qualche candidato e non tener conto dei voti che si raccogliessero a suo favore; nei primi tempi poteva ancora restringere l'elezione ad una lista di candidati da lui stesso composta, e ciò che vi aveva di più importante era la circostanza che il comune, malgrado il diritto di proposizione, non aveva assolutamente quello di destituire il console, come per necessaria conseguenza l'avrebbe dovuta avere, se esso lo avesse effettivamente nominato. Anzi, essendo il successore anche in quel tempo nominato soltanto dal suo predecessore e un magistrato effettivo non ripetendo giammai il suo diritto da un magistrato tuttavia in carica, fu mantenuta inviolabilmente in vigore, anche durante l'epoca consolare, l'antica ed importante massima del romano ius pubblico, che il supremo magistrato del comune fosse assolutamente irremovibile. La nomina dei sacerdoti, finalmente, che spettava al re, non fu lasciata ai consoli, ma si volle che i collegi dei sacerdoti si completassero fra loro, e che la nomina delle vergini di Vesta e quella dei sacerdoti particolari si facesse dal collegio dei pontefici, cui fu commesso anche l'esercizio della giurisdizione quasi padronale del comune sulle vestali.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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